L’assetto
sociale che caratterizza l’attuale stato di diritto può essere
definito come il prodotto delle tre fondamentali rivoluzioni che hanno
caratterizzato l’età moderna: la rivoluzione scientifica,
quella politica e quella industriale.
La Rivoluzione scientifica coincide con la presa di coscienza, da parte
dell’uomo dell’Umanesimo, delle proprie potenzialità in
termini di sfruttamento dell’ambiente circostante e fa si che
da un approccio al sapere di natura prettamente filosofica si passi
ad una conoscenza più tecnica e pratica. In epoca post-medioevale,
dunque, si assiste ad una rottura con la tradizione culturale precedente
che aveva sempre mantenuto una netta distinzione tra conoscenza (epistemh)
e tecnica (tecnh).
A partire da questo momento si innesca una vera e propria accelerazione
della storia: è questa l’epoca delle grandi scoperte
geografiche, scientifiche e tecnologiche, e sarà proprio l’avvento
delle molteplici innovazioni ed invenzioni a gettare le basi della Rivoluzione
industriale.
Parallelamente si sviluppa un nuovo concetto di società: l’uomo,
animale politico (zwon politikon) abituato a vivere in società di
dimensioni modeste, si trova ad allargare i propri confini ed ad intessere
relazioni con un numero sempre più elevato di soggetti, identificabili
solo attraverso i ruoli da essi ricoperti. Diventano determinanti quindi
i rapporti astratti fondati su un nuovo network comunicativo, riscontrabile
anche negli attuali sistemi relazionali, che poggia su un codice di
comportamento valido nei confronti di una serie di ruoli istituzionali.
Lo Stato Moderno produce quindi una sorta di omogeneizzazione dei veicoli
comunicativi: i rapporti sociali diventano più intensi ma nella
stessa misura più generali e generalizzabili e ciò rende
necessaria la presenza di un’istituzionalizzazione. L’uomo
comincia ad interrogarsi sulla legittimità della società e
degli apparati politici e sulla necessità di affermare la propria
individualità: il consenso diventa dunque l’elemento imprescindibile
sulla base del quale si fondano le moderne istituzioni.
Tutto ciò si concretizza in quella che viene definita la Rivoluzione
politica, che raggiunge il suo apice con la Rivoluzione francese e che
determina una nuova concezione del diritto e dei sistemi normativi.
Si afferma anche il principio di cittadinanza vista come il complesso
dei benefici che derivano dall’ammissione ad un sistema politico,
dall’essere cittadini di una nazione. Ciò rende necessaria
una più attenta riflessione nei confronti di problematiche sociali
finora rimaste insolute: l’inclusione degli esclusi, in particolare
le donne, e la gestione dei poveri, visti come un problema politico
irriducibile a questioni di ordine pubblico. Con l’avvento della
Rivoluzione industriale, infatti, i poveri, finora relegati ai margini
della società, acquistano un loro ruolo: diventano manodopera,
e formano, insieme agli operai, l’”esercito di riserva” del
nascente capitalismo. Ma nel momento in cui il lavoro appare come il
grande principio di socializzazione, capace da solo di riassorbire la
povertà e di organizzare un ordine sociale, diventa rapidamente
chiaro che non solo il sistema industriale non risolve il problema della
vecchia povertà ma ne produce di nuova, e anche che questo fatto
fa scoppiare nuovi conflitti legati al cristallizzarsi delle disuguaglianze.
I nuovi poveri rappresentano, dunque, ancora un problema
perché malgrado la loro miseria, non possono che essere uguali e
questo fa della povertà nelle società moderne un problema
di altra natura rispetto a quello della mendicità, in quanto
si ritiene superato il regime della tutela in cui erano tenuti i mendicanti
e si richiede l’individuazione di una via per far accedere anche
i poveri alla cittadinanza.
Per quanto riguarda la questione femminile invece,
essa emerge come problema non solo di natura sociale, ma soprattutto
politico,
in quanto la possibilità di esercitare concretamente i propri
diritti viene realmente concessa solo in risposta alle esigenze nascenti
dei nuovi stati democratici. Nella marcia a tappe per il passaggio dallo
status di sudditi a quello di cittadini le
donne sono rimaste indietro nei diversi modelli di acquisizione. Per
quanto riguarda i diritti civili esse hanno ottenuto più tardi
la capacità di agire, restando a lungo in posizioni di dipendenza
rispetto al padre o al marito. Per quanto riguarda quelli politici esse
arrivano al suffragio con un ritardo rilevante. In particolare nei contesti
anglosassoni l’estensione del suffragio alle donne può essere
interpretata in un’ottica stabilizzatrice perché si è prospettata
l’utilità di immettere un elettorato femminile bianco per
arginare quello di colore. In maniera analoga nel contesto di transizione
alla democrazia nel secondo dopoguerra in paesi come la Francia, l’Italia,
la Germania l’estensione al voto può essere vista come
una concessione voluta dalle classi dirigenti interne allo scopo di
annacquare l’inaffidabile elettorato operaio e accettata da quelle
esterne (partiti socialisti e comunisti) per coerenza ai loro valori.
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