La politica
regionale della Comunità Europea trova il suo fondamento nel
Trattato di Roma e si inserisce all’interno delle azioni strutturali
della Comunità. La sua evoluzione può essere rappresentata
in tre fasi distinte.
La prima fase (1958/1975) è caratterizzata da una lunga riflessione
sulla necessità di individuare strumenti di intervento per superare
gli squilibri territoriali, nella convinzione già insita nel
Trattato, che non sarebbe stata sufficiente la scrupolosa ed attenta
attuazione dei principi del libero scambio per attenuare le disparità di
sviluppo che si registravano tra le aree della Comunità. Durante
questa prima fase risulta particolarmente urgente la necessità di
intervenire attraverso una politica regionale comunitaria, differenziata
rispetto alle specificità delle singole aree regionali: in attesa
di una elaborazione autonoma rispetto a quella degli stati membri la
Comunità si preoccupa di fissare delle regole minime per il rispetto
dei principi comunitari in materia di concorrenza.
Nel 1975, a seguito della pubblicazione del Rapporto Thompson, il quale
disegna “una politica regionale realisticamente complementare
e non sostitutiva delle politiche regionali dei singoli stati membri,
centrata sull’azione di un Fondo di sviluppo di dimensione sufficiente
per condurre una seria azione di riequilibrio”, viene creato il
Fondo Europeo di Sviluppo Regionale (FESR), la cui finalità è quella
di “correggere i principali squilibri regionali nella Comunità,
in particolare quelli risultanti dalla prevalenza delle attività agricole,
dalle trasformazioni industriali e da una sottoccupazione strutturale”.
Il finanziamento comunitario è aggiuntivo rispetto agli aiuti
degli stati ed è destinato ad investimenti “che si inseriscono
nel quadro di un programma di sviluppo regionale la cui realizzazione
potrebbe contribuire a correggere i principali squilibri regionali della
sviluppo della regione. Le domande di contributo del Fondo sono presentate
dagli stati membri alla Commissione, la quale, ai fini della concessione,
esamina soprattutto la coerenza dell’investimento con tutte le
azioni intraprese dallo stato membro interessato a favore della Regione
in questione. La Commissione inoltre tiene conto di altri eventuali
contributi concessi dalle istituzioni comunitarie o dalla BEI (Banca
Europea d’Investimento, principale strumento strutturale comunitario
sotto il profilo della disponibilità) per gli stessi investimenti.
In tal caso, gli altri interventi della Comunità saranno coordinati
con l’intervento del FESR “in modo da promuovere azioni
globali, convergenti e coordinate”.
Nel 1975 si ha anche il primo ampliamento della Comunità a tre nuovi Stati membri (Danimarca,
Irlanda e Regno unito): attraverso il
FESR si introduce il concetto di ridistribuzione fra regioni
ricche e regioni povere della Comunità.
La seconda fase (1975/1986) può essere indicata come quella dell’aggiustamento
degli strumenti di politica regionale ma anche di sperimentazione di
nuove forme di intervento, ed è accompagnata, da un lato, da
nuovi orientamenti generali per il coordinamento dei regimi d’aiuto
nazionali a finalità regionale, dall’altro da altrettanto
aggiornati Orientamenti in materia di politica
regionale,
con i quali la Commissione, sulla base dell’analisi del radicale
mutamento del contesto socio-economico che aveva determinato problemi
di natura diversa rispetto ai precedenti periodi, affronta principalmente
problemi di riconversione e di riadattamento delle strutture produttive
(entra a far parte del lessico comunitario il concetto di declino industriale).
Sul piano delle modificazioni si evidenzia innanzitutto l’introduzione
di alcuni vincoli programmatici nei riguardi delle politiche comunitarie
di sviluppo, le quali devono tener conto nelle loro finalità anche
del corretto funzionamento del mercato comune nonché dell’evoluzione
convergente delle economie degli stati membri. Inoltre si ha la previsione
di un’articolazione delle modalità e degli strumenti di
intervento comunitario, il quale può svolgersi in maniera indiretta,
attraverso “azioni comunitarie di sostegno alle misure di politica
regionale adottate dagli stati membri”, ed in maniera diretta,
mediante “azioni comunitarie specifiche di sviluppo regionale” cui è destinato
il 5% del FESR.
La terza fase delle politiche regionali ha inizio successivamente al
1985, con la preparazione delle modifiche al Trattato e la sottoscrizione
e successiva ratifica dell’Atto Unico Europeo, il quale per la
prima volta menziona la coesione economica e sociale come priorità comunitaria.
In seguito nel Trattato di Mastricht (1992) la coesione è assurta
a principio d’azione della nuova Unione: l’art.B delle Disposizioni
comuni prevede espressamente che tra gli obiettivi prioritari
dell’Unione vi è quella di “promuovere un progresso
economico e sociale equilibrato e sostenibile, mediante la creazione
di uno spazio senza frontiere interne, il rafforzamento della coesione
economica e sociale e l’instaurazione di un’unione economica
e monetaria che porti all’adozione di una moneta unica”.
Una specificazione di tale principio è individuabile là dove
si afferma che “la Comunità ha il compito di promuovere,
mediante l’instaurazione di un mercato comune e di un’unione
economica e monetaria e mediante l’attuazione delle politiche
e delle azioni comuni, uno sviluppo armonioso ed equilibrato delle attività economiche
nell’insieme della Comunità, una crescita sostenibile,
non inflazionistica e che rispetti l’ambiente, un elevato livello
di occupazione e di protezione sociale, il miglioramento del tenore
e della qualità della vita, la coesione economica e sociale e
la solidarietà tra gli Stati membri”.
Il concetto di coesione inoltre può essere definito e descritto
in relazione ad altri due concetti, convergenza e integrazione: se la
coesione rappresenta un obiettivo politico, il “perseguimento
di una società europea più giusta e portatrice di opportunità per
tutti i propri cittadini, indifferentemente da dove essi si trovino
sul territorio” rappresenta il processo che si deve elaborare
e il metodo che si deve adottare per conseguire l’obiettivo della
convergenza. L’integrazione rappresenta invece il supporto istituzionale
al processo di convergenza, introducendo nuove regole decisionali, in
particolare il venir meno del principio dell’unanimità per
molte delle decisioni degli organi comunitari. Con l’Atto
Unico Europeo e ancor di più con il Trattato
dell’Unione Europea la coesione assurge dunque a principio politico modificando radicalmente
la missione della Comunità proprio nel campo delle scelte di
politica economica e quindi anche sul piano degli strumenti e le modalità di
governo dell’economia.
La Comunità concorre al raggiungimento degli obiettivi della
coesione economica e sociale attraverso i fondi a finalità strutturale:
essi sono stati riformati nel 1988 nell’ambito del pacchetto
Delors I, un complesso di modifiche al trattato di Roma proposte
dalla Commissione e recepite nell’AUE.
Le azioni a finalità strutturale della comunità sono concentrate
intorno agli obiettivi individuati dai regolamenti sui fondi nonché in
specifici territori che rispondono ai criteri di eleggibilità (principio
di concentrazione).
Inizialmente gli obiettivi erano 5:
-Ob.1: promuovere
lo sviluppo e l’adeguamento strutturale delle
regioni in ritardo economico
-Ob.2: riconvertire
le regioni, le regioni frontaliere o parti di regioni (compresi i
bacini di occupazione
e le comunità urbane) gravemente
colpite dal declino industriale
-Ob.3: lottare contro la disoccupazione
di lunga durata
-Ob.4: facilitare
l’inserimento
professionale dei giovani
-Ob.5: nella
prospettiva della riforma politica agricola comune: I) accelerare
l’adeguamento
delle strutture agrarie (ob.5a); II) promuovere lo sviluppo delle
zone rurali (ob.5b)
La riforma del 1993 ha modificato
parzialmente tali obiettivi:
-Ob.1: promuovere
lo sviluppo o l’adeguamento strutturale delle
regioni in ritardo economico
-Ob.2: riconvertire
le regioni , le regioni frontaliere o parti di regioni (compresi i
bacini di
occupazione e le comunità urbane) gravemente
colpite dal declino industriale
-Ob.3: lottare
contro la disoccupazione di lunga durata; facilitare l’inserimento professionale dei giovani e l’integrazione
delle persone minacciate di esclusione dal mercato del lavoro
-Ob.4: agevolare
l’adattamento dei lavoratori e delle lavoratrici
ai mutamenti industriali e all’evoluzione dei sistemi produttivi
-Ob.5: promuovere
lo sviluppo rurale, I) accelerando
l’adeguamento
delle strutture agrarie, nell’ambito della riforma della politica
agricola comune (ob.5a); II) agevolando
lo sviluppo e l’adeguamento
rurale delle zone rurali
-Ob.6: favorire
lo sviluppo e l’adeguamento strutturale di regioni
con scarsissima densità demografica
Gli obiettivi sono plurifondo, nel senso che su ciascun obiettivo
operano più fondi, consentendo l’integrazione delle tipologie
di intervento previste da ciascun fondo; secondo il seguente schema:
-Ob.1: FESR, FSE, FEOGA (Fondo europeo agricolo di orientamento e
garanzia)
-Ob.2: FESR, FSE (Fondo sociale europeo)
-Ob.3: FSE
-Ob.4: FSE
-Ob.5: FEAOG, Orientamento, FSE, FESR
-Ob.6:FSE,
Il principio di concentrazione, oltre che funzionale, è anche di carattere territoriale, poiché gli obiettivi sono riferirti alle caratteristiche socio-economiche rispondenti a indicatori di sviluppo che individuano le zone obiettivo.
Le zone ammissibili agli interventi dell’ob.1 devono essere
regioni il cui PIL pro capite risulta inferiore al 75% della media
comunitaria negli ultimi 3 anni. E’ altresì prevista
l’estensione dell’ammissibilità di quelle regioni
il cui PIL sia prossimo al 75% della media comunitaria ma per le quali
esistono particolari motivi per prenderle in considerazione a titolo
dell’ob.1.
Per l’obiettivo 2 il regolamento quadro prevede tre criteri
di ammissibilità:
I) regioni in cui si registra un tasso medio
di disoccupazione superiore alla media comunitaria registrato negli
ultimi 3 anni;
II) regioni in cui la percentuale di posti
di lavoro nell’industria è superiore alla media comunitaria
per qualsiasi anno di riferimento a partire dal 1975;
III) declino dell’occupazione
industriale a partire dal 1975.
Anche per questo obiettivo vi è la
possibilità di estensione delle zone, in presenza di specifiche
caratteristiche:
a).contiguità con zone ammissibili all’obiettivo;
b).comunità urbane con un tasso di disoccupazione superiore
di almeno il 50% della media comunitaria che hanno registrato un regresso
notevole nell’occupazione nel settore industriale;
c).altre zone
che hanno subito o subiscono o rischiano di subire perdite occupazionali
di rilevo in settori industriali determinanti per il loro sviluppo
economico , con conseguente serio aggravamento della disoccupazione
in dette zone.
Per l’obiettivo 5b sono tre i criteri di ammissibilità:
I) basso livello di sviluppo socio-economico;
II) tasso elevato di
disoccupazione nel settore agricolo;
III) basso livello di reddito
agricolo.
La possibilità dell’estensione delle zone è possibile
nel caso in cui siano soddisfatti criteri secondari di ammissibilità (lo
spopolamento, la situazione periferica, la riforma della PAC).
L’obiettivo 6 interessa soprattutto aree dislocate sul territorio
finlandese e svedese, che abbiano densità inferiore a 8 abitanti
per chilometro quadrato.
Gli obiettivi 3, 4 e 5a operano sull’insieme dei territori degli
stati membri, ma con criteri, azioni e intensità degli interventi
differenziati.
Il nuovo regolamento dei fondi strutturali fissa anche alcuni principi
su cui deve necessariamente poggiarsi l’azione strutturale comunitaria:
-principio di sussidiarietà: la Commissione ritiene che ogni
tipo di azione strutturale deve essere complementare riguardo alle
iniziative locali, in pratica l’Unione europea deve intervenire
solo quando un obiettivo non possa essere adeguatamente realizzato
dagli stati membri.
-principio di addizionalità: l’aiuto comunitario non
deve avere come conseguenza una riduzione dell’impegno dello
stato membro
-principio di programmazione: rappresenta le modalità operative
di attuazione e gestione delle risorse dei fondi strutturali e prevede
l’elaborazione di piani di sviluppo idonei ai diversi obiettivi
prioritari ( ob.1 piani di sviluppo regionale, ob.2 programmi di riconversione
regionale e sociale, ob.5 programmi di sviluppo per le zone rurali),
i quali devono contenere: la descrizione delle linee principali scelte
per lo sviluppo regionale e delle relative azioni, le indicazioni
sull’utilizzazione dei contributi dei fondi strutturali, l’analisi
dell’impatto economico e ambientale sulla base dell’andamento
e dei risultati dei programmi pregressi, una stima in termini quantitativi
dei risultati che si intendono raggiungere (occupati, volume investimenti
attivati…).
In seguito la Commissione procede alla valutazione
dei programmi e delle azioni proposte e alla definizione del quadro
comunitario di sostegno (QCS). La programmazione si conclude con la
definizione delle forme e degli strumenti mediante i quali intervengono
i fondi strutturali: programmi operativi, quale insieme organico di
azioni pluriennali per la ci esecuzione si può far ricorso
ad uno o più fondi; regimi di aiuti nazionali alle imprese;
concessione di sovvenzioni globali cofinanziamento di singoli progetti.
- principio di partenariato: l’azione comunitaria deve incoraggiare
collaborazioni tra Commissione, Stato membro interessato, Autorità competenti
designate a livello nazionale, regionale, locale. L’iniziativa è promossa
anche da parte di altri soggetti economici e sociali: Camera di Commercio,
Industria, Agricoltura, sindacati, datori di lavoro, amministrazioni
che operano a livello locale.
Anche nell’ambito della programmazione dei fondi strutturali
per il periodo 2000/2006 la coesione economica e sociale rimane una
priorità politica, e una necessità tanto più impellente
nella prospettiva dell’adesione di nuovi paesi dal livello di
sviluppo assai differente.
L’azione dei Fondi strutturali deve
essere finalizzata a promuovere nell’insieme dell’Unione
uno sviluppo competitivo, una crescita sostenibile e generatrice di
occupazione ed una forza di lavoro qualificata, addestrata e versatile.
All’interno di alcuni paesi membri, infatti, nonostante gli
indubbi successi riportati grazie ai contributi dei Fondi strutturali
e del Fondo di coesione, la disoccupazione non è calata in
misura sensibile, anzi è in aumento in alcune regioni svantaggiate.
Per accrescere l’efficacia dei Fondi strutturali, occorre semplificare
la gestione e rendere le procedure operative più flessibili
e decentrate. Per motivi di trasparenza ed efficienza i sette obiettivi
prioritari devono essere ridotti a tre: due regionali e uno orizzontale
relativo alle risorse umane.
Le regioni in ritardo di sviluppo ammissibili all’obiettivo
1, che sperimentano le più gravi difficoltà in fatto
di reddito, occupazione, strutture produttive e infrastruttura, devono
mantenere la loro priorità.
I criteri di ammissibilità rimangono
sostanzialmente gli stessi anche se verrà osservata con maggior
scrupolosità la soglia del 75% del PIL pro capite rispetto
alla media comunitaria.
L’approccio allo sviluppo di queste
regioni si basa sul potenziamento della competitività, presupposto
imprescindibile per la creazione e il mantenimento di posti di lavoro.
A questo scopo si ritiene opportuno promuovere interventi nel campo
dell’infrastruttura, dell’innovazione, delle PMI e delle
risorse umane.
Gli interventi a favore delle altre regioni che presentano difficoltà strutturali
vengono invece raggruppati in un nuovo obiettivo 2, avente come tema
la riconversione economica e sociale.
Vengono riunite quindi zone
in via di trasformazione economica (industria e servizi), aree rurali
in declino, zone in crisi dipendenti dalla pesca, quartieri urbani
in difficoltà. Per ovviare ai problemi occupazionali e sociali
di queste regioni occorre un’azione strutturale energica per
favorire la diversificazione, imprimere una nuova dinamica all’economia
e suscitare uno spirito imprenditoriale costruttivo. Un’azione
capace di valorizzare l’enorme potenziale di sviluppo economico
di cui dispongono queste zone, promuovendo le ristrutturazioni e gli
adeguamenti necessari. Particolare attenzione meritano l’istruzione
e la formazione, come pure l’accesso alle nuove tecnologie,
dal momento che le qualifiche non corrispondono alle esigenze dell’economia
moderna.
A tal fine è necessario puntare sull’appoggio
alle PMI e all’innovazione, privilegiare la formazione professionale,
il potenziale di sviluppo locale, nonché la protezione dell’ambiente
e la lotta contro l’esclusione sociale.
La Commissione definisce
criteri di ammissibilità semplici, trasparenti e specifici
per i vari tipi di zone interessate dal nuovo obiettivo 2: il tasso
di disoccupazione, il livello di occupazione industriale, l’importanza
dell’attività agricola e di quella alieutica e la loro
evoluzione, il grado di esclusione sociale.
Lo sviluppo delle risorse umane costituisce infine un elemento centrale
tanto nelle regioni degli obiettivi 1 e 2 quanto nel resto del territorio
dell’Unione e rappresenta il tema dell’obiettivo 3. Fanno
parte di questo obiettivo le regioni che non rientrano negli obiettivi
1 e 2, all’interno delle quali deve essere data la priorità all’avviamento
al lavoro e al collocamento, alla formazione continua e alla promozione
di iniziative locali per l’occupazione. L’obiettivo 3
intende promuovere quattro settori di intervento, complementari agli
orientamenti tracciati nel quadro della strategia europea per l’occupazione:
-accompagnamento dei mutamenti economici e sociali
-formazione e perfezionamento permanenti
-politiche attive di lotta contro la disoccupazione sul mercato del
lavoro
-lotta contro l’emarginazione sociale
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