Nero e senza compromessi, pop, borderline e indispensabile, ha quasi un secolo di vita, anche se la sua nascita è controversa.
Come molti cult della moda nasce fra le bombe e le eliche dell’aviazione militare, inventato forse dal mitico Manfred Von Richtofen, conosciuto ai più come il Barone Rosso, che aveva tagliato un cappotto di pelle al di sotto della vita per potersi muovere più agevolmente nell’abitacolo dell’aeroplano.
Indossato nel 1910 dalla celebre Marie Marvingt, pioniera dell’aviazione negli anni Venti entra anche nel mondo del motociclismo e diventa una bandiera per gli Hell’s Angels nel secondo dopoguerra. Gli “Angeli dell’Inferno” erano reduci della Seconda Guerra Mondiale, trasformati dagli orrori bellici, che trascorrevano il tempo fra scorribande in moto, pub e risse. Disadattati che incarnavano e rappresentavano una corrente anticonformista ai margini della società che si faceva strada e che avrebbe lasciato segni profondi nella storia.
Tuttavia gli onori della notorietà planetaria di questa frangia dissidente si accesero su un giovane attore del Nebraska, Marlon Brando, che nel 1953 con il film Il Selvaggio immortalò per sempre il mito del ribelle.
Due anni dopo un altro divo, James Dean, che entrò nel mito con soltanto tre pellicole all’attivo, consacrò il look del “ribelle senza causa” in Gioventù Bruciata. Giovani ribelli contro le guerre ingiuste, gli schemi sociali oppressivi, il perbenismo e la società americana patinata che esprimevano il disagio e covavano i germi della rivolta a cavallo della Harley Davidson con una t-shirt in cotone (anch’essa retaggio dell’abbigliamento militare) al posto della camicia inamidata imposta dai genitori, blue jeans, stivaletti e giubbotto in pelle nera.
Il mitico capo indossato da Marlon Brando era il modello “Perfecto” (dal nome del sigaro preferito dell’inventore Irving Schott nel 1928). In cuoio di cavallo e con 4 cerniere, ed era perfetto per proteggere i motociclisti e agevolarne i movimenti.
Indossato spesso da Elvis Presley riappare in un altro cult movie, nel 1969, indossato da Peter Fonda nella pellicola “Easy Reader”, in corsa sui leggendari chopper.In Italia questo tipo di giubbotto venne chiamato “ chiodo ” nel 1974, un appellativo nato quasi per caso, dopo che un rivenditore torinese di prodotti americani per biker (e trend setter dell’epoca) aveva arricchito un modello con borchie di metallo. Un passante commentò il capo esposto chiamandolo “ chiodo ” e da allora prese questo appellativo senza separarsene mai più.
Dal Cinema il “ chiodo ” passò alla musica, dopo una breve parentesi hippie, leggera e multicolore. I nuovi ribelli, ancor più duri e irriverenti venivano dal Regno Unito. Erano i Punk sul finire degli anni Settanta. Band inglesi e americane come The Stooges, Ramones, Sex Pistols, Dead Boys, The Damned o Clash rispolverarono questo capo, dandogli un’accezione ancora più estrema e aggressiva. Sid Vicious lo indossava direttamente sulla pelle.
In quegli anni Vivienne Westwood, trasformò il chiodo in pelle in capo d’abbigliamento di tendenza. Dalla Musica alla Moda. Poi arrivò Yves Saint Laurent, che lo inserì nelle collezioni assieme a gonne e pantaloni. Successivamente nessuno stilista si lasciò sfuggire l’occasione di inserire questo capo spalla, versatile e irresistibile, a fasi alterne nel corso della moda.